martedì 25 aprile 2017

Someone Like You (1)

You know how the time flies,
Only yesterday was the time of our lives,
We were born and raised in a summer haze,
Bound by the surprise of our glory days


Philadelphia, Gennaio 2021
Noah ha ventisette anni, un sorriso affilato a tenderne le guance ispide di barba biondiccia e un drink stretto tra le dita della mano destra. Parla con un ragazzino che non avrà più di diciotto anni, il corpo sottile infilato in vestiti che lasciano poco spazio alla fantasia e una zazzera di capelli chiari a incorniciarne il volto dai lineamenti dolciastri.

« Il tuo amico mi guarda male da tutta la sera. »
« Al mio amico stasera gira il cazzo. »
« Colpa mia? »
« Nah. »

Ezra è ad un paio di metri di distanza, i lineamenti tirati in una smorfia carica di un risentimento infantile e gli angoli delle labbra incurvati verso il basso. Ha rifiutato tre, forse quattro ragazzi, invischiato in un malumore collerico che neppure l'alcol è riuscito ad annacquare: il locale gli fa schifo, la musica è troppo alta, gli uomini che l'hanno rimorchiato sono solo cessi e lui si è rotto i coglioni. Schioda dal bancone con un gesto veloce, infettato dalla stizza e macina le distaze per raggiungere Noah e il ragazzino con un passo reso incerto dalla vodka.

« Mi sono rotto i coglioni, andiamo via. »
« Cristo, è il terzo bar che giriamo stasera: scegli un tizio e dacci un taglio. »
« No, voglio andare via. »
« Cristo. Sto bevendo, aspetta dieci minuti, ok? »
« Non aspetto un cazzo, non sei neanche frocio. Non è frocio, bambolina, mi dispiace, gira al largo. »

Noah a queste scenate c'è abituato, e la sua è più insofferenza che sdegno. Scuote la testa, si svuota in bocca i rimasugli del proprio drink e alza le spalle. Al ragazzino dedica solo un'occhiata liquida, macchiata da un desiderio che rifugge con un'alzata di spalle e una curva sghemba delle labbra.
Ezra chiude le dita attorno al polso di Noah e lo strattona via, lontano dal biondo, dalla folla, dal bar e anche dal locale; cammina oscillando fino all'uscita, il corpo tenuto in piedi da una furia che si scioglie in un rigurgito di bile non appena raggiungono l'esterno: si svuota lo stomaco sul marciapiede, rovesciando sull'asfalto più alcol che cibo mentre Noah si allunga a iniettargli le dita tra le ciocche castane, tenendogli la testa in gesto reso meccanico dall'abitudine.

« Mi porti in questi posti del cazzo e poi ti parte il cervello ogni volta. »

Ezra ha il respiro affannato, il cuore che si agita nel petto come una fiera in gabbia che scalpita per liberarsi. Raddrizza le spalle e sfugge da quella presa con un gemito umido; si ripulisce la bocca con il dorso della mano destra e inghiotte un respiro stentato, allontanandosi da Noah con una manciata di passi incerti. 

« Non ti ci porto per vederti sbavare su ... su dei cazzo di mocciosi, Cristo. »
« Che altro dovrei fare? Farti da spalla finché non rimorchi, aspettare che ti svuoti le palle e accompagnarti a casa? »

Noah non ha nulla del livore corrosivo che gonfia lo sguardo di Ezra, solo la perplessità dubbiosa di chi, oltre ad essere stanco, non riesce a realizzare quale sia il problema.

« Provarci con me? Scoparti me? Cos'è, ti piace il cazzo solo quando si parla di ragazzini? »
« Sei ubriaco. »
« Non sono ubriaco, sono stanco. Prima quella tizia insulsa, poi Charlotte, e okay, sei etero. Ma adesso con i ragazzini, Noah? Sul serio? Quando sarà il mio fottutissimo turno? »
« Non ti darò corda mentre sei sbronzo. »
« Non me la dai da sbronzo, non me la dai da sobrio. Vai, vatti a scopare il biondo, trovati l'ennesima persona del cazzo che ti tratta una merda mentre io sto qua raccogliere i pezzi ogni volta. »
« Ezra... »
« Io non ti avrei mai fatto quello che ti ha fatto 'Charlotte. Mai. Non te lo farei mai, sono anni porca troia, anni che aspetto e non va mai bene. Non ti vado mai bene, non ti andrò mai bene. »

Sono in mezzo alla strada e Ezra urla, gli occhi pieni di lacrime e la voce spaccata dalla sofferenza; non sono soli, e alle loro spalle una manciata di ragazzi osserva la scena a metà tra l'interesse e la commiserazione: è Ezra a guadagnarsi l'empatia del pubblico, la comprensione di chi ci è già passato e si è fatto spezzare il cuore più di una volta. A Noah toccano gli sguardi carichi di biasimo, e dei commenti fatti a voce troppo alta che fa di tutto per ignorare.
Noah fatica. Fatica ad elaborare un pensiero di senso compiuto e mettere in fila le sensazioni che gli accelerano il battito cardiaco e si mescolano in un malessere diffuso. Ha la nausea, e forse dovrebbe vomitare anche lui. Inchiodato con gli anfibi all'asfalto e lo sguardo sulla sagoma di Ezra che ha iniziato a singhiozzare, ha il corpo bloccato da una confusione che tenta di allontanare consumando un paio di passi in direzione dell'amico.

« Ez... dai. Sei sbronzo. »
« Non sono sbronzo: sono un cliché, il finocchio che si innamora del migliore amico. »
« ... »

La prima sensazione è l'incertezza. La seconda il sollievo. La terza una felicità cruda, nauseante, che gli inonda lo stomaco e sgorga dalle labbra in una risata che gli scuote il torace e fa incurvare le spalle in avanti. 
Il pugno di Ezra non lo vede neppure arrivare, ed è una bolla di dolore lancinante quella che gli esplode al centro del viso e fa strage di ogni cosa: la cartilagine si spacca e ci sono lampi di luce rossa a invaderne lo sguardo mentre caracolla a terra, la bocca piena del sangue che erutta dalle narici in fiotti bollenti. Il dolore non riesce a fermarne l'ilarità, e tra i gemiti che ne torcono le viscere c'è l'ombra di una risata su cui Ezra si accanisce, furente, alla ricerca di qualcosa che ne ponga fine all' umiliazione. Il primo calcio si abbatte sul ventre di Noah con una precisione chirurgica e gli svuota i polmoni, il secondo gli incrina le costole e allaga il marciapiede in una pozza di sangue e saliva. 
Il terzo gli fa perdere i sensi. 

---

Noah del tragitto fino all'ospedale ricorda poco ed anche ora, semi allungato su una sedia di plastica arancione nella sala d'aspetto, fatica a trascinare i pensieri nel giusto ordine: i puzzle non gli sono mai piaciuti e quello che gli si dipana davanti agli occhi è tanto intricato da bruciargli le tempie con fitte di dolore bruciante.
Ezra è accanto a lui, un'assenza di colpa ostinata a tirarne i lineamenti spigolosi e un fastidio corrosivo a stagnargli nel fondo degli occhi arrossati.

« Ce la fai a stare da solo, no? »
« Mi ammazzi di botte e vuoi pure mollarmi qui come uno stronzo? »
« Io la tua faccia di merda non me la voglio più trovare davanti. »
« No? »
« No, sono stanco Noah. Davvero, non ce la faccio più a portare avanti questa storia. »

Noah non dice nulla, e ci pensa il dolore che gli invade ogni fibra nervosa a seppellirgli in gola la risata che minaccia di scavalcargli di nuovo le labbra. Raddrizzare le spalle è uno sforzo di volontà che minaccia di farlo stramazzare al suolo, e tendere il torace verso Ezra gli annienta il respiro e riempie il campo visivo di esplosioni luminose: cercare la bocca di Ezra è uno sforzo che ne imbratta la fronte di sudore gelido, e lo scarto da cavallo bizzoso con cui il militare tenta di sfuggirgli è una secchiata di alcol sulla sua sofferenza. Chiude le dita attorno alla nuca di Ezra con un tremito dolente, strattonandolo nella propria direzione con le ultime stille di forza che gli sono rimaste in corpo: è un bacio che inizia incerto quello che gli impone, carico del sapore ferroso del sangue che si mescola lentamente a quello altrui.
Staccarsi dalle labbra di Ezra è una violenza a cui lo obbliga il dolore che gli germoglia in petto e si allaccia ai suoi muscoli come una pianta rampicanete, ma il lamento debole che lo sente emettere a quella separazione basta, per un po', a cancellare ogni cosa. Sorride, scoprendo i denti in un sorriso purpureo e lo indica con un cenno stanco del mento.

« E adesso smettila di cacarmi il cazzo, e rimani qua. »


Nothing compares
No worries or cares
Regrets and mistakes
They are memories made.
Who would have known how bittersweet this would taste?



mercoledì 19 aprile 2017

If today was your last day

And tomorrow was too late
Could you say goodbye to yesterday?
Would you live each moment like your last?

Si è svegliato di soprassalto in una stanza vuota, il fragore delle bombe inchiodato nel cervello e l'eco degli spari piantato nei timpani come chiodi di metallo.
Il panico ne chiude la gola e riempie la bocca del sapore ferroso della paura: hai esitato soldato, sei morto. È morto anche lui, anche lui, e anche lui.
Il ricordo delle urla del sergente istruttore si mescolano a quelle dei feriti, e la saliva che gli scivola sulla lingua si trasforma in una cascata di granelli di sabbia bollente. Dov'era quand'è successo? Siria? Iraq? Corea? Non riesce a ricordarselo.
Solleva le spalle dalle lenzuola fradice e si curva in avanti, schiacciando i gomiti contro le ginocchia nel tentativo di tenere a freno il rigurgito che gli si inerpica lungo la gola come una serpe d'acido. A metà tra il sonno e la veglia, ancora invischiato nei propri incubi, lotta per mantenere la lucidità tra le dita rese vischiose da un terrore irrazionale.
Dovrebbe chiamare sua madre per sapere se ha bisogno di soldi, Lavinia per chiederle se ha preso le medicine, Charlotte per farle fare quel test di gravidanza del cazzo e Azrael per svuotarsi le palle e liberarsi il cervello dalle sabbie mobili di paranoia in cui le parole di Austin lo hanno spintonato a forza.
Non ricorda dove ha lasciato il telefono, e nella penombra della stanza non riesce ad intravedere altro che le pareti di cemento armato, spoglie e prive di qualsivoglia decorazione ad eccezione di una cornice di metallo che racchiude una fotografia dai contorni sfocati.

---

« Che faresti se mi beccassi una pallottola in testa? »
« Una festa, un rompicoglioni in meno nella mia vita. »

Ezra gli pianta le dita contro la ferita ancora aperta, affondando i polpastrelli nella garza che si tinge istantaneamente di un rosso carminio. Il cotone assorbe il sangue come i suoi nervi assorbono la leccata di dolore urticante che dalla spalla si propaga al resto del corpo al pari di un incendio. Scaccia il sudore gelido che gli imperla la fronte come scaccia lo sciame di luci che gli è comparso di fronte allo sguardo, inghiottendo un respiro dolente che butta fuori assieme ad una cascata di imprecazioni in tedesco.

« Allora? »
« Ma che Cristo ne so, che domanda di merda è. »
« Promettimi che te la caverai lo stesso. »
« È il momento dello psicodramma? »
« Promettimelo. »
« Ezra ma che merda ti -- »
« PROMETTILO. »

Il lucore rosato che bagna la sclera di Ezra lo coglie in ritardo, facendogli guadagnare una cucchiata di colpa e una desolazione che neppure le cinque dita che tenta di stampargli contro il viso riescono a cancellare. Ezra lo scansa con una torsione netta del viso, i lineamenti sporcati da un imbarazzo che tenta di nascondere chiudendosi il labbro inferiore tra i denti; Noah cede, come ogni volta, quando lo sente tirare su con il naso con il suono umido che precede il pianto.

« Prometto, prometto. »
« Ok. »
« Mi spieghi che ti dice la testa, adesso? »
« Che sei un ritardato del cazzo, e mi preoccupo. »
« Sono io quello che si è beccato il proiettile a 'sto giro, non tu. Dovrei fartela io sta domanda da paranoico all'ultimo stadio. »
« E allora fammela. »
« Non ti faccio proprio un cazzo. Tu hai la merda nel cervello. »
« If you died the world would blur. I wouldn't know what a tree was. »
« ... »
« ... »
« Quello verde. »
« Eh? »
« L'albero. Sarebbe quello verde sopra, marrone sot... »

Il cazzotto di Ezra contro la spalla gli fa vedere le stelle e richiamare i santi con un latrato lungo, sfinito, che si trasforma in una risata spezzata sul finale. Noah ne blocca la fuga chiudendogli le dita attorno al polso, strattonandoselo contro con le ultime forze che gli sono rimaste in un abbraccio troppo fiacco per essere davvero incisivo.

« C'mon fighetta, falla finita. Non creperò né lo farai tu. Diventeremo due civili noiosi del cazzo e finiremo con l'odiarci a vicenda. »
« Prometti? »
« Prometto. »

---

È un ricordo stagnante quello che gli è scivolato tra le tempie e infuocato le sinapsi, inchiodandogli nuovamente le scapole tra le coperte madide di sudore. Ha perso il conto delle promesse che ha infranto negli anni, e delle puttanate con cui si è riempito la bocca pur di mettere fine ad una conversazione scomoda. Ci credeva sul serio, o sapeva che sarebbe finita di merda? Forse la prima, magari la seconda. Probabilmente entrambe a giorni alterni, come con Austin.

My best friend gave me the best advice
He said each day's a gift and not a given right
Leave no stone unturned, leave your fears behind
And try to take the path less traveled by

Le tombe dei militari sono tutte uguali, tessere di domino bianco che si allargano in file infinite e divorano tutto lo spazio disponibile: quella davanti a cui si accuccia Noah non è dissimile dalle altre, un blocco di pietra che le intemperie hanno già iniziato a corrodere.
Non c'è nessuna foto, solo il nome, il cognome, la data di nascita, quella di morte e una stella di David contro cui Noah spinge la fronte, le spalle flesse in avanti e la schiena curva come se fosse in preghiera: lascia che il tempo gli scivoli addosso come i pensieri, scucendosi di bocca un flusso di parole in tedesco che, quando termina, lo lascia con le labbra riarse, la gola secca e la sensazione di non bere un goccio d'acqua da settimane.
Raddrizza le spalle e incaglia lo sguardo sulla lapide pallida: ha gli occhi lucidi e una patina di acquosa che si impedisce di versare stretta tra le ciglia bionde. Lo sconforto lo stringe tra le dita, le stesse che schianta contro tomba in uno spasmo di rabbia improvvisa; colpisce il nome di Ezra con la forza della disperazione, spaccandosi le nocche contro la pietra fino a non sentire più nulla, neppure  il dolore pulsante che gli strazia i centri nervosi e risale l'avambraccio in fitte lancinanti.
Noah respira in refoli bollenti e non ha bisogno di guardarsi la mano destra per sapere sapere di averla ridotta ad un grumo di carne violacea, le nocche squarciate e la carne viva esposta in ferite che lasciando colare rivoli di sangue scuro fino alla punta delle sue dita.

« Testa di cazzo. »

Quando Noah si allontana, le spalle curve e gli occhi bassi, davanti alla lapide non resta altro che un un mazzo di frangipane bianchi.

You know it's never too late to shoot for the stars
Regardless of who you are
So do whatever it takes
'Cause you can't rewind a moment in this life

domenica 16 aprile 2017

I'll Be Good

I never meant to start a fire,
I never meant to make you bleed,
I'll be a better man today


Le feste comandate gli strozzano la gola come un nodo scorsoio, facendolo precipitare in un'insofferenza che neanche l'entusiasmo di Austin riesce a smorzare del tutto. Si è sbarbato, ha recuperato una camicia dall'armadio per far felice sua madre, ha lasciato gli occhiali da sole a casa, li ha sostituiti con un paio da vista e si è guardato allo specchio con lo scoramento palpitante delle bestie trascinate al macello.
Fiori, pasticceria, casa di Charlotte per prelevare Blue e degli auguri risicati che si è cucito in bocca con un sorriso falso come una banconota da tre dollari, il minimo indispensabile per non rovinare la giornata alla figlia e non iniziare una litigata fuoriosa sul vialetto di cemento.
La villetta comprata da Paul e sua madre anni prima è sul fiume, ed è la classica casa americana da staccionata bianca in cui lui ha trascorso una manciata d'anni scarsi prima di piantare in asso tutti, tutto e scegliere di servire nell'esercito americano: Lavinia li aspetta sulla veranda come una sentinella alla ricerca delle prime avvisaglie di un esercito invasore, e quando la macchina si infila nel vialetto salta in piedi con l'agilità nevrotica di chi non dorme né mangia abbastanza; il sorriso che le ravviva l'espressione è elettrico come le scintille che le sfrigolano tra le dita, e il vestito estivo di cotone troppo leggero per la stagione strappa a Noah più di una smorfia.
Però sua sorella oggi sorride, è presente, ed evidentemente non ha ancora deciso di stare abbastanza bene da lasciar perdere i farmaci e ripiombare nel solito calvario privo di senso.
Noah le chiude le braccia attorno al corpo troppo magro e le bisbiglia qualcosa tra i capelli, lasciandola in pasto ad Austin mentre trascina Blue oltre i gradini e la lascia libera di scorrazzare nel soggiorno piccolo ma arredato con cura, saturo di troppe fotografie che ritraggono tanto lui quanto Lavinia da ragazzini.
Sua figlia si inerpica sulle ginocchia di Paul, inchiodato davanti al football con una birra stretta tra le dita e a lui tocca l'analisi clinica di sua madre che ne individua i bendaggi sotto il cotone ancor prima di averlo salutato; sono anni che ha smesso di cercare risposte, e l'unica cosa che si concede è una smorfia di preoccupazione cocente prima di allungargli un cordless bianco, lucido, che Noah fissa con la stessa consapevole ineluttabilità dei condannati a morte.

« C'è tuo padre al telefono. »
« Digli che sono morto. »
« Noah. »

Noah afferra la cornetta e solleva gli occhi verso il soffitto, muovendosi in cucina, oltre il tavolo, per guadagnare il giardino esterno che affaccia sul fiume: l'odore dei barbecue gli si pianta nelle narici mentre guarda la superficie liscia del Delaware, e si ritrova a infilarsi una sigaretta in bocca e prendere un paio di tiri veloci prima di incastrare il telefono contro l'orecchio.

« Mh. »
« Ho saputo che hai lasciato l'esercito. »
« Già. »
« Il tuo accento peggiora di giorno in giorno. »
« Già. »
« Anche la tua capacità comunicativa. »
« Già. »
« Verrò in America per dei seminari, a Giugno. »
« Bene. »
« Confido che mi farai conoscere mia nipote. »
« Già. »
« Verrà anche Joseph. Mi aspetto che tu riesca ad essere più loquace. »
« Come no. »
« Ho capito. Passami tua madre. »

My past has tasted bitter for years now,
So I wield an iron fist
Grace is just weakness
Or so I've been told.


Il pranzo è scivolato via senza grossi drammi, e sua madre cucina sempre per troppe persone; Austin è stato l'attrazione della giornata, inondato dalle attenzioni delle donne di casa che hanno passato il tempo a gravitargli attorno come un esercito di chiocce troppo entusiaste: sua madre lo ha rimpinzato e ha ignorato con classe i momenti di silenzio imbarazzato, sua sorella ha finito con lo sciogliersi la lingua e stordirlo di chiacchiere, cercando di farsi dare informazioni sulla vita scolastica che a lei è negata e Blue ne ha preteso le attenzioni con l'arroganza imbronciata di una regina a cui è stato sottratto il proprio trono.
A Noah è toccato il silenzio di Paul, e la leccata di malumore ustionante che i messaggi di Jude gli hanno marchiato a fuoco nella carne: seduto sul divano con la nuca inchiodata sullo schienale, alterna l'attenzione tra l'ennesima partita che riempie lo schermo della tv e il soffitto del soggiorno.
Il senso di colpa gli schiaccia le costole come un'armatura di metallo, riempiendogli la bocca di un malumore ferroso che neppure la birra riesce a lavare via; si rende conto di sua madre accanto a lui solo quando gli fa scivolare le dita attorno alla mandibola, tendendosi per stampargli un bacio dolciastro contro la tempia.
Noah socchiude una palpebra e sbuffa, ma  non si sottrae, lasciandosi sistemare i capelli e sfilare gli occhiali da sole dal naso: li ha rubati a Lavinia a metà del pranzo, e la montatura viola piena di glitter e le lenti rosa confetto.

« Che hai? »
« Niente 'Mà, solite rogne. »
« Mi ha chiamato Charlotte per gli auguri, stamattina. »
« Pensa un po' che culo. »
« Noah. »
« Eh. »
« Che hai intenzione di fare? »
« Niente. Aspetto che si decida di fare un test e poi si vedrà. »
« Mi ha detto che ti rifiuti di parlarle se non per la bambina. »
« E quindi? »
« Era ora. »

Noah torce il muso di lato e scoppia a scoppia a ridere; lo fa tentando di ignorare tanto le fitte di dolore che gli mordono il costato quanto l'inquietudine che macchia lo sguardo di sua madre: lo scaccia con un sorriso spinoso, poco convincente, che non arriva a scaldarne gli occhi stanchi.

« 'Mà, non farmi quella faccia, va tutto bene. »
« Che hai intenzione di fare con Austin? »
« Che devo fare con Austin? »
« Cercare di essere tollerante, e non pretendere che sappia come prenderti. »
« Cristo, 'Mà. Non è come pensi. »

Il palmo di sua madre contro la fronte è così veloce che neppure lo vede arrivare, in uno schiaffo secco che schiocca contro la pelle tesa ed è troppo flebile per fargli davvero del male. Noah grugnisce e si passa le mani sui lineamenti spigolosi, cercando di seppellire l'imbarazzo che gli brucia la pelle dietro le dita.

« Non mentire a tua madre. »
« ... »
« Ne sei innamorato? »
« Cristo santo, 'Mà! »
« Va bene, va bene. Siamo negli anni sessanta ed è solo un tuo amico. »
« Josephine, smettila di tormentare il ragazzo. »

La voce roca di Paul fa girare entrambi: l'uomo non li guarda, apparentemente più interessato ad osservare il replay dell'ennesimo passaggio che ai loro discorsi. Sua madre sospira, incrocia le braccia al petto e ha uno sguardo carico di biasimo tanto per il marito, che taglia fuori dalla conversazione con un paio di parole più secche, quanto per lui.

« Trattalo bene. »
« Dovresti farli a lui questi discorsi e viziare me. Non il contrario. »
« Invece li faccio a te, visto quanto sei cocciuto: ha diciotto anni, non trenta. Non aspettarti che si comporti come un tuo coetaneo, e soprattutto non fargli scontare colpe non sue. »
« Dio, 'Mà. Vuoi adottarlo? »
« No. Beh, forse. Il bambino che ha trovato il tuo amico? »
« Andato. »
« Che vuol dire? »
« Questione chiusa, non mi va di parlarne. Quei tre dove si sono cacciati? »
« 'Lavinia voleva fargli vedere gli album di foto. »

Il sogghigno divertito di sua madre gli strappa di dosso il malumore, quanto la colpa, lavando via ogni cosa, persino il fastidio che gli si inerpica lungo i dorsali nell'alzarsi in piedi di colpo.
Noah brontola come un adolescente mentre abbandona il salotto e si arrampica su per le scale, chiudendo le dita attorno al corrimano a cui si aggrappa per risalire i gradini più in fretta, due a due.

« 'Lav, ti ammazzo! »
« Gli faccio vedere solo quelle carine, giuro! »

La risata di sua sorella scivola nel corridoio e cola giù per gli scalini, intiepidendogli il costato con quello che ha imparato a riconoscere come sollievo: se è una giornata buona per Lavinia, lo è anche per lui.

I'll be good, I'll be good
And I'll love the world, like I should
Yeah, I'll be good, I'll be good
For all of the times that I never could.


venerdì 14 aprile 2017

In My Veins


Everything will change
Nothing stays the same
Nobody here's perfect
Oh, but everyone's to blame

Dorme un sonno denso, pieno di immagini che si susseguono in stralci di sogni logoranti: il sibilo delle bombe che si schiantano a terra sollevando onde di sabbia bollente, la voce di Charlotte che gli si pianta nel cervello con la stessa violenza delle unghie di una belva conficcate nella carne, il pianto di Blue e quello di Lavinia, i singhiozzi di sua madre, il tedesco carico di disprezzo di Hans, il viso di Austin, gli occhi di Ezra e una cascata di sangue che ricopre ogni cosa facendogli mancare il respiro.
Noah spalanca gli occhi nella penombra del loft e annaspa, spalancando la bocca nel tentativo di incastrarsi nei polmoni l'ossigeno necessario a non soffocare; non sa se siano gli incubi o le ustioni ad avergli ricoperto il corpo di una patina di sudore gelido, né sa quanto tempo sia passato da quando è tornato a casa ed ha schiacciato il viso contro i cuscini del divano. Si tira in piedi a fatica, le membra affaticate e il corpo arso da una febbre che gli regala brividi gelidi e prosciuga la gola. Dovrebbe bere, ma non ha la forza di alzarsi in piedi ed è probabile che finirebbe per vomitarsi addosso come un povero stronzo.

« Austin? »

Il nome del pirocineta lo ripete più volte, in un crescendo privo di risposte che lo lascia sfinito quanto confuso. L'unico a presentarsi al suo fianco è Dougal, gli occhi imbevuti della stessa malinconia che avvolge Noah come le spire di una serpe. Al pitbull riserva un paio di carezze deboli, e un interrogativo che pronuncia in un tedesco fradicio di afflizione.

« Te lo sei mangiato? »

Dougal muove la coda e non dice nulla, e lui ha bisogno di tutte le forze che gli sono rimaste per tirarsi in piedi e sconfiggere la vertigine che gli scivola tra le tempie e rischia di rendere il pavimento troppo vicino. Incespica, tenendo a stendo a bada la nausea che gli rovescia le viscere mentre si domanda se la cucina è sempre stata così lontana. Raggiungere il frigo è un'impresa titanica che lo lascia ansante, facendogli supporre una quantità di complicanze cliniche che scaccia strizzandole tra le ciglia bionde: sull'anta dell'elettrodomestico, schiacciato tra un disegno di Blue e uno di Austin, un post it di un giallo abbacinante fa bella mostra di sé.

“È venuta Charlotte. Oggi dormo da Effie. Vai in Ospedale.”

È venuta Charlotte.
Merda. Merda. Merda.
Mormora un ringraziamento a qualche santo quando realizza di avere il cellulare in tasca, afferrandolo tra le dita mentre una leccata nervosismo ne torce la carne e si pianta come una lama bollente tra le sue tempie. Lascia partire la chiamata mentre recupera una bottiglia d'acqua, incastrandosi il telefono tra spalla e l'incavo del collo: è un movimento che gli inietta nelle narici l'odore dolciastro della carne corrotta, ricordandogli che dovrebbe decidersi a trascinarsi in bagno a controllare i danni.
La voce di Charlotte è dolce come melassa, e gli si incastra tra le orecchie nel miagolo sorpreso con cui accetta la chiamata.

« Mh? Ti sei già rimesso in piedi, coglione? »
« Che cazzo gli hai detto? »
«  A chi? »
« Non fare la troia, so che sei passata. »
« Ah, il tuo ragazzino. Sono passata a controllare fossi ancora vivo e portarti qualcosa da mangiare. »
« E? »
« E, cosa. »
« Cosa cazzo gli hai detto, Charlotte. »
« Cos'è, ti ha svegliato frignando? »
« Rispondimi. »
« Dio, che palle. Niente, abbiamo chiacchierato, poi ha visto il tatuaggio ed è andato fuori di testa. »
« Il tatuaggio? »
« Il mio, dai. »
« Puttanate. Che gli hai detto? »
« Niente, sei tu che ti scopi un fottuto malato di mente. È impazzito, gli ho risposto, mi ha cacciato. »
« Non ti sei mai fatta cacciare. »
« Ho lasciato stare. Per una volta che dormivi, non volevo svegliarti. »
« Stronzate. »
« Come ti pare. Se hai finito con il terzo grado avrei .. - »

Noah non le dà il tempo di finire la frase. Si strappa il telefono dall'orecchio e chiude la telefonata con una bestemmia incagliata tra i denti. Accanto a lui, il metallo dell'isola della cucina trema e si increspa come se un'onda lo attraversasse, accartocciandosi in una forma ritorta e grottesca. Noah scarta di lato per svuotarsi lo stomaco nel lavandino della cucina con un conato bollente.
I succhi gastrici gli ustionano la gola e fanno lacrimare gli occhi, gettandolo in uno stordimento in cui coglie a malapena il trillo del cellulare che lo avvisa di un nuovo sms.

Oh, all that you rely on
And all that you can save
Will leave you in the morning
And find you in the day

Le ore con Ernst al White Rabbit, la telefonata con Austin, la voce di sua madre, la risata di Lavinia che lo supplicava di guardare di nuovo quello stupido film da ragazzine, i brontolii di Paul che non è mai riuscito davvero a farsi andare a genio e che solo ora, dopo quasi vent'anni, ha imparato a rispettare come uomo. Ernst gli ha allungato un paio di pasticche di vicodin con cui ha seppellito il fastidio che gli brucia la carne in un'onda di sollievo chimico. Ha voglia d'erba e l'ultima volta che ha fumato è stato cinque anni o sei anni fa: Ezra era ancora con lui e Charlotte era incinta, un erinni ormonale che gli rendeva la vita impossibile e logorava i nervi.
Trascinarsi sul soppalco lo svuota delle ultime energie e solo una volta sdraiato su delle coperte improbabili che non ha scelto lui, trova la forza di comporre il messaggio che gli rimbalza tra le tempie da tutto il giorno.

- Sei davvero incinta? - 
- Ho un ritardo. -

La risposta è quasi immediata e gli ruba di bocca una risata isterica, nauseata, che inghiotte assieme ad una sensazione di desolazione bruciante.

- Il ritardo lo hai in testa. -
- Non sto scherzando. -
- Non me ne frega un cazzo, Charlotte. Non sei più un problema mio. -
- Volevo parlartene di persona. -
- Volevi solo massacrarlo, pisciare sull'albero e fottergli il cervello. Vai a farti le analisi e mandami i risultati. - 
- Non mi accompagni? -
- No. -

Il cellulare di Noah continua ad illuminarsi e Charlotte accampa giustificazioni, scuse e suppliche che lui rifugge, offrendole in cambio solo il silenzio secco della sua ostinazione e una totale mancanza di risposte. Le preferisce un'altra chat, rincorrendo una manciata di lettere in un messaggio che scrive e cancella troppe volte prima di rinunciare, gettando il telefono tra la stoffa rosa delle coperte: la sagoma del vestito da principessa dipinta sul cotone gli scortica lo stomaco, sprofondandolo in un'irrequietezza di cui tenta di liberarsi cercando il profilo di Ezra, lungo la parete, con una malinconia che non trova requie. 
Stringe gli occhi e scambia il profilo del moro con quello altrettanto familiare di Austin, recuperando dal libro di fisiologia abbandonato sul comodino una polaroid rettangolare, indubbiamente recente, che divora con lo sguardo sfinito delle bestie sconfitte.  
È il campanello a salvarlo, trascinandolo fuori da quel pantano emotivo per farlo strisciare nuovamente giù per le scale e verso la porta.

« Arrivo, arrivo. Merda. »

Oh, you run away
'Cause I am not what you found
Oh, you're in my veins
And I cannot get you out

domenica 9 aprile 2017

Hope there's someone - It's dangerous... (2)


Hope there's someone
Who'll set my heart free
Nice to hold when I'm tired

Siria, Aprile 2017
Noah ha la bocca piena dell'odore del fumo e gli occhi lucidi, inzaccherati da un lucore liquido che si perde tra i bagliori che riempiono la notte. L'eco delle bombe lo ha strattonato giù dalle brande e impigliato il cuore tra le costole, gettando l'intera unità in un'agitazione febbrile prima che qualcuno, dall'alto, si degnasse di offrire loro uno stracci di spiegazione.
Il bombardamento ha rischiarato l'oscurità del deserto, allagando l'orizzonte in una linea di fuoco che riempie lo sguardo dei pochi ostinati che, come sentinelle silenti, osservano il massacro che divora il buio in barbaglii di fiamma.
Fuori dall'infermeria, le ginocchia flesse e il culo inchiodato a una scatola di legno universalmente utilizzata come sgabello, Noah alterna l'attenzione tra la foto tessera che si rigira tra le dita e il riverbero del fuoco che inghiotte ogni cosa: in quel quadrato di carta plastificata Charlotte ride, aggrappata al suo collo nel tentativo di strappargli un bacio da cui lui si allontana, la bocca storta in una smorfia storta e il palmo teso per tentare di sfuggire a quell'attacco. È una foto dai contorni mossi, imprecisi, che Charlotte gli ha infilato nel portafoglio a tradimento forse prima di partire, forse prima ancora che li richiamassero al fronte. 
Il vento trascina fino a lui l'eco delle urla e il crepitio di fiamme che in realtà è troppo lontano per poter sentire realmente: ci sono chilometri e chilometri a dividerlo dalla pira funebre che è diventata la base di Ash Sha'irat, e quegli stridii che gli arrivano alle orecchie come suoni ovattati non sono niente più che allucinazioni uditive.

« Dovresti dormire. »

La voce di Ezra lo fa sobbalzare, strappandogli una bestemmia e una frustata di panico irrazionale che gli torce di colpo il muso nella sua direzione. Ezra ha un sorriso assonnato impigliato tra i lineamenti spigolosi e una bottiglia di whisky tra le dita della mano destra; gli mostra l'alcolico con l'orgoglio di chi condivide un tesoro e si getta accanto a Noah con un sospiro, inseguendo con uno sguardo distratto il riverbero distante delle fiamme che fagocitano il confine tra cielo e terra; perde interesse in fretta, preferendo a quella fornace a cielo aperto la foto tessera che Noah rigira meccanicamente tra le dita.

« Mhh, la strega dell'Ovest. »
« Seh. »
« Pensavo aveste deciso di chiudere. »
« Nah. »
« Seh, Nah, Gna. Se devo cavarti una parola alla volta entro e prendo le tenaglie. »
« Abbiamo parlato. Litigato. Mi ha detto che per lei chiudere è una stronzata. »
« ... »
« ... »
« Si è messa a piangere, mh? »
« Si è messa a piangere. »
« Noah... Charlotte è una stronza. Lo sai tu, lo so io. »
« Lo so. »
« ... »
« ... »
« Noah? »
« Mh? »
« La ami? »
« Cristo santo, 'Ez. Che cazzo sono, i cinque minuti delle confidenze tra froci? »
« Rispondimi. »

Noah non risponde, non a parole almeno. Annuisce un'unica volta, abbassando il viso in direzione della sabbia che si allarga attorno a loro a perdita d'occhio e si infila in ogni cosa.
Ezra la sabbia se la sente in bocca, e per un attimo è davvero convinto che Noah gli abbia spinto la testa sul terreno, soffocandolo contro una duna per evitare di rispondere.

« Torno dentro, m'hai rotto i coglioni. »

Noah fa svanire la foto tessera in una delle tasche della divisa e si alza in piedi, voltando le spalle a Ezra con la fretta di un animale braccato.
È solo quando Noah si è già allontanato che Ezra torna a guardare l'orizzonte, ritrovando nelle bruma infuocata che lo riempie l'eco della stessa sconfitta nauseante che gli arde in petto: gli occhi gli bruciano e ci sono un paio di lacrime a scivolargli sulla pelle abbronzata come una magma ustionante, in una colata di vergogna liquida che non riesce a trattenere tra la rima degli occhi e le palpebre.

« Gli uomini non piangono. Fighetta.  »

La frase riecheggia nel cervello di Ezra senza che ci sia nessuno a pronunciarla: la voce di Noah gli si pianta nel cranio, nel petto, fin dentro il cuore, strappandogli di bocca una risata straziata.
Si volta a cercarlo, in un grumo di speranza irrazionale, ma alle sue spalle non c'è nessuno; ci sono solo le loro impronte che si mescolano, confuse, sulla sabbia.

So here's hoping I will not drown
Or paralyze in light
And godsend I don't want to go
To the seal's watershed

Philadelphia, Gennaio 2018
L'areoporto di Philadelphia è infinito, un dedalo di spazi aperti che si asciugano fino a ridursi in rivoli più stretti e corridoi ordinati: non è stato un volo diretto il loro, e Noah ha finito con il perdere pazienza e voglia di parlare, intrappolato in una ragnatela di nervosismo viscoso che ha fatto naufragare ogni tentativo di conversazione di Ezra davanti a dei grugniti mormorati a mezza bocca.

« L'hai avvisata del ritorno? »
« Chi.  »
« Charlotte, chi. »
« No. E non mi devi cacare il cazzo con sta storia. »

Ezra solleva i palmi in una resa incondizionata e sospira. È abituato a farsi abbaiare addosso, e non c'è giorno che non si chieda che abbia fatto di male per finire in quel pantano viscoso da cui, pur provandoci, non è capace di uscire. È lui il primo a vedere Charlotte, riconoscendone la sagoma ossuta e la cascata di capelli biondi che le sfiorano le scapole in mezzo alla folla: solleva entrambe le braccia e le agita a mezz'aria, svuotandosi i polmoni in un richiamo che fa girare verso di loro metà dei presenti.

« Mostro! »

Il movimento svelto con cui Charlotte ruota il capo le muove la chioma dorata come un'onda; non c'è un attimo di esitazione nel corpo sottile come un giunco, e la corsa che la porta tra le braccia di Noah dura appena un istante, spezzata dal balzo con cui inchioda le gambe attorno alla vita del militare e gli getta le braccia al collo. 

« Bentornato a casa, soldato. »

L'espressione confusa di Noah non è un deterrente per Charlotte: ne assalta le labbra e il viso in una cascata di baci ruffiani, morbidi e finiscono con lo sciogliere gradualmente il nervosismo altrui. Lo sguardo che Ezra impiglia tra i lineamenti squadrati di Noah, osservandone le resistenze crollare una dopo l'altra è imbevuto di una malinconia che sa di invidia, slavata dal sorriso soddisfatto che si ritaglia in bocca nell'incontrarne l'occhiata grata, quanto confusa, che il tedesco gli rovescia addosso. 
L'amore è una colpa, o una condanna, ma finché entrambi sono felici può convivere con la voragine che gli si è aperta nel petto anni prima e che, giorno dopo giorno, si allarga facendo strage di ogni cosa.
Ezra sfila gli occhiali da sole dalla tasca della divisa e si incastra sul muso un paio di rayban dalle lenti a specchio, inforcandoli per nascondere il velo di lacrime che lotta per scavalcarne le ciglia scure: allarga le braccia e muove un paio di passi in avanti, puntando ad un branco di ragazzine che non avranno più di una ventina d'anni.

« Signore, il biondo è occupato ma il moro è libero. Eroe di guerra a disposizione. »

There's a man on the horizon
Wish that I'd go to bed
If I fall to his feet tonight
Will allow rest my head

Philadelphia, Aprile 2025
Blue dorme da ore, racchiusa tra le braccia di un sonno ristoratore che Noah è incapace di concedersi ormai da anni. Semi collassato sul divano, con un braccio gettato dietro le spalle di Austin e con una guancia incastrata contro la tempia del diciottenne, osserva lo schermo televisivo con la pigra rassegnazione di un uomo che ha firmato la propria condanna a morte.
Julia Roberts ha la bocca troppo larga, ma probabilmente nel prendertelo in bocca è in grado di risucchiarti anche le palle; pensandoci, alla fine dei conti, una ripassata gliele darebbe pure. Comunica quel pensiero al biondo con uno sbadiglio sfatto, logorato dalla stessa stanchezza che gli intorbidisce lo sguardo e appesantisce i movimenti.

« A lei due botte le avrei date anche io. »
« Vabbé vaffanculo, scusami se non ho una vagina. »
« Visto quanto ti lagni non si direbbe. »

Il cazzotto di Austin contro la spalla lo incassa con una risata trascinata, lasciando vagagare lo sguardo verso le rare fotografie appese alle pareti alla ricerca di un viso in particolare: gli basta inquadrare i lineamenti spigolosi di Ezra per sentire distinamente un "Dovresti dormire" che gli impiglia in bocca un sorriso immalinconito. Chiude gli occhi e lascia Austin a dividersi tra il film e il telefono cellulare, sprofondando in una pozza di nostalgia lancinante che gli chiude lo stomaco e dilania le viscere.
Vorrebbe, davvero, spegnere il cervello e riuscire a dormire.

There's a ghost on the horizon
When I go to bed
How can I fall asleep at night
How will I rest my head

giovedì 6 aprile 2017

Stubborn Love

She'll lie and steal and cheat 
And beg you from her knees
Make you thinks she means it this time
She'll tear a hole in you, the one you can't repair


« All'inaugurazione della clinica veniamo sia io che Blue. »
« Come ti pare. »
« Che entusiasmo. »
« Non mi devi cacare il cazzo quella sera, 'Char. Ficcatelo nel cervello. »

Charlotte indossa shorts troppo corti; ha le gambe nude e a malapena un fazzoletto di stoffa a coprile le natiche; si china in avanti, languida come una gatta, mettendosi in mostra nel raccogliere dei giocattoli di Blue dal pavimento. Noah fatica a distogliere lo sguardo per riportarlo sullo schermo del proprio cellulare e deglutisce a vuoto: l'insonnia lo divora come una fame costante, la stessa che ne strattona muscoli e nervi in una tensione febbrile e lui sfoga a fatica sul filtro di una sigaretta ancora spenta. Sua figlia è sulle sue ginocchia, un libro per bambini stretto tra le dita paffute e l'orgoglio lucido di chi, finalmente, ha una finestra aperta tra gli incisivi e un dente con cui barattare qualche spicciolo.
Noah le spinge le dita tra i capelli biondi in una carezza distratta, chiedendosi se dovrebbe preoccuparsi della violenza costante con cui Blue affronta i conflitti: il dente lo ha perso nell'ennesima rissa che l'ha vista ammaccata, ma vincitrice, in una disputa per la sovranità su una giostrina azzurra al parco. 

« Il gelato? »
« Dopo. »
« Anche per Austin? »

Basta quella domanda a far crollare il salotto in un silenzio innaturale, colmo di una tensione nervosa che pulsa tra le pareti bianche e riecheggia nelle note improvvisamente stridenti della canzone di Moana che, come Elsa, sbraita sul bisogno di allontanarsi da casa per ritrovare se stessa. Blue raddrizza le spalle minute e volta il viso in direzione di Noah, cercando gli occhi del padre con un'ostinazione che deve avere stampata a fuoco nel codice genetico. Corruga le sopracciglia con una smorfia che è identica alla sua e a volte, fissandola, Noah ha la sensazione di perdersi in un riflesso cristallizzato dal tempo. Charlotte ha raddrizzato la schiena di colpo, svelta come se qualcuno le avesse colpito la spina dorsale con una frustata bollente.

« Non so se gli piace, 'B. »
« Chiedi. »

Blue gli indica il cellulare e annuisce, pienamente soddisfatta del proprio ingegno. È troppo piccola per capire il motivo delle occhiate cariche d'astio che Charlotte spinge su Noah, ma non lo è per rendersi conto che i suoi genitori stanno per litigare. Di nuovo. Scivola giù dalle gambe di Noah e lo fa con uno sbuffo scenografico, mettendosi il libro sotto il braccio prima di sollevare il mento come una diva offesa: infila persino gli occhiali da sole di Noah, troppo larghi per non perdersi sul naso sottile, sgambettando in direzione della propria stanza.

« Mi fate noia. Fai ciao a Austin. »

Charlotte non aspetta che Blue si sia allontanata prima di intrecciare le braccia sotto l'abbozzo di seno e avvicinarsi a Noah a passo di marcia. Ne cerca il ginocchio con la pianta del piede nudo, flettendo la gamba per avvicinarglisi con l'atteggiamento famelico di un avvoltoio che aleggia su una carcassa ancora fresca.

« Austin, mh? »
« Austin. »
« Il ragazzino. »
« Lui. »
« Che nome da frocio. Gli somiglia? »
« No. »
« Stronzate, sei prevedibile come la merda: o gli somiglia, o ha la metà della tua stazza e una bella faccia. »
« Invece di psicanalizzarmi, e farlo male, potresti anche metterti qualcosa addosso. »
« Se proprio ci tieni, sbattimelo tu qualcosa addosso. »

Noah scrolla le spalle e spazza l'aria con una passata decisa del palmo, levandosi di dosso la gamba di Charlotte con uno spintone netto, quasi brutale, che la fa oscillare di lato e la obbliga ad allargare le braccia per mantenere l'equilibrio. La bionda ride e crolla sul divano accanto a lui, senza curarsi di lasciare tra di loro neppure un millimetro di spazio. Tempo tre secondi e la guancia di Charlotte è contro la spalla di Noah, le falangi sottili come giunchi perse a sfiorarne il profilo in punta di dita. Noah si allontana e lo fa alzandosi in piedi di colpo, l'irrequietezza delle bestie ferite ad azzannarne la carne. L'odore dolciastro di Charlotte gli si infila tra le tempie, ma non arriva al costato, bloccato a metà strada tra cuore e cervello.

« Cristo 'Char, ma non ti stanchi mai? »
« Di cosa? Di te? Mai. »
« Di darmi il tormento: sono qui per Blue, non per farti fare 'sti giochetti di merda. »
« Abbiamo scopato fino all'altro ieri. E per un... moccioso, adesso che possiamo, vuoi mandare a puttane tutto? »
« Non c'è più un cazzo da mandare a puttane. Un - cazzo. Quel poco che era rimasto te lo sei bruciata anni fa. »
« Noah, merda, non c'eri mai! E quando c'eri era ancora peggio, eri un fottuto guscio vuoto. Il tempo di riprenderti e vaffanculo, via di nuovo. Che cazzo avrei dovuto fare? »
« Non mi ficcherò di nuovo in questi discorsi di merda. Lo sai, ne ho le palle piene. »
« Perché devi essere sempre così stronzo? »

Noah allarga le braccia, sfinito come un cristo in croce e altrettanto pronto a farsi piantare i chiodi nei palmi delle mani. Il cellulare gli ronza tra le dita ma lo ignora, spaccandosi il petto con una risata tagliente che gli si incastra tra le costole come se tra la carne celasse un nido di spine. 

« E tu perché devi sempre essere così troia? »
« Io sarò anche una troia, ma non sono ancora così disperata da scoparmi gli storpi. »

Lo stupore è violento come un pugno nello stomaco, e allo stesso modo gli mozza il respiro. Noah corruga la fronte in un disorientamento che dura poco più di un battito di ciglia, ma la sorpresa dà tempo a Charlotte di attaccarlo di nuovo; è una donna che fiuta i punti deboli come gli squali il sangue, e non si fa remore a infilare le dita in quella breccia di silenzio stupefatto. 

« Oggi uno in sedia a rotelle, domani uno senza gambe? Ti sei ridotto a questo? »
« Parli senza sapere un cazzo. »
« So che ci sto provando, e lo sto facendo per Blue, per darle quello che né tu, né io abbiamo mai avuto. E tu che fai, Noah? Te ne fotti, vai in giro a ficcarlo a dei cazzo di storpi. Cos'è, è perché ti è riconoscente? O perché uno del genere non lo vorrebbe mai nessun altro ed è l'unico modo, patetico come sei, per sentirti sicuro? »
« Ti ho dato decine di possibilità, e te ne sei fottuta. »
« Te ne sto chiedendo un'altra. L'ultima. »
« La risposta è sempre la stessa: no. »
« Codardo del cazzo. »

La risata che Noah si consuma in bocca è allucinata, più incredula che amareggiata. Per una volta, forse la prima volta in tanti anni, Charlotte non ha neppure voglia di sfiorarla con il dorso della mano. Moana, sullo schermo della tv, ha ricominciato a cantare e lui si muove verso la stanza di Blue: il colpo lo coglie alle spalle, e il dolore ne azzanna la carne con la violenza di una tagliola; si incurva in avanti mentre il posacenere rovina in terra, esplodendo in un inferno di frammenti taglienti. Blue si affaccia dal corridoio, gli occhi azzurri dilatati da un terrore che fa sprofondare il cuore di Noah in un abisso di mortificazione colpevole. La bambina la stringe tra le braccia a fatica, tentando di ignorare le fitte pulsanti che ne divorano la carne e il pianto accorato di Charlotte. Ogni singhiozzo è una coltellata, tanto per lui quanto per Blue, scossa da un tremito che Noah tenta di sedare schiacciandosela contro il torace con più forza.

« Sta con me, stasera. »

È il pianto di Blue a preoccuparlo, in un dejavù che gli striscia sottopelle quando la figlia spinge il viso contro l'incavo del suo collo; la bambina gli serra le braccia sottili attorno alle spalle, senza dire niente, con solo un piagnucolio mesto a scivolarle tra le labbra.

« Andiamo a casa, mh? »
« C'è Dougal? »
« C'è Dougal. »

And I don't blame ya dear
For running like you did, all these years
I would do the same, your best believe
And the highway signs say we're close
But I don't read those things anymore

lunedì 3 aprile 2017

Space Between


The space between is deafening
Oh, we don't bend, we're breaking
The space between is deafening

Sono le nove e mezza di un lunedì mattina qualunque, e lo sfrigolio delle uova riempie il silenzio del loft. Noah indossa gli strascichi dell'ennesima notte insonne come una corazza, la stanchezza ormai radicata nelle ossa e nulla più che un paio di boxer a coprirne la pelle segnata da troppe cicatrici: il costato è tappezzato da uno stuolo di segni obliqui, in rilievo, che si allargano a ventaglio e dagli avambracci risalgono a leccarne le clavicole sporgenti.
Noah afferra tra le dita un pezzo di bacon ancora crudo e si sporge di lato, lasciando oscillare la carne in attesa che Dougall l'afferri al volo; impiega dieci, quindici secondi a realizzare che il posto solitamente occupato dal pittbull è vuoto.

--
« Ho deciso che voglio un cane. »
« Che è, sei stanco di essere l'unico che sta perennemente a quattro zampe? »

Il cazzotto gli colpisce il nervo della spalla con una precisione chirurgica, brutale, strappandogli un gemito che oscilla tra la risata e la bestemmia. Ezra gli mostra il medio della mano destra e scopre i denti come un cane rabbioso; mancano una manciata di giorni al suo compleanno, e sono settimane che tormenta Noah con richieste fittizie, vuote, fatte solo e soltanto per rompergli i coglioni.

« Dico sul serio, voglio prendermi un cane. »
« Cristo, non ti si sopporta quando ti prendono i cinque minuti del cacazzo. Che ci devi fare con un cane? Come lo curi? Te lo porti in missione? »
« Abbiamo detto che questa è l'ultima, no? »
« Ultima, prima, decima: io non lo voglio un sacco di pulci in mezzo ai piedi. »
« Infatti me lo devo prendere io, mica tu. »
« E pigliati sto cazzo di cane. Pigliati un pinguino, un iguana, piglia il cazzo che ti pare, basta che non me lo piazzi in casa. »
« Allora è deciso, ci prendiamo un cane. » 
« Ezra... »

L'avviso che scavalca le labbra di Noah è un richiamo seccato, ruvido, che si scontra con un l'imitazione di un pianto fittizio. Ezra sbuffa e si lamenta nascondendo il viso dietro i palmi delle mani, le spalle scosse da singhiozzi acuti identici a quelli di Charlotte. È una sceneggiata che non dura molto, spezzata dal groviglio di risate che spaccano il petto del militare e dalle dita che Noah gli chiude attorno ai polsi in una presa troppo salda. Si azzuffano come cane e gatto, rotolano sul pavimento del loft e ogni cazzotto è un lamento che finisce con l'essere il preludio di qualcosa di diverso, un desiderio liquido che finisce con l'afferrare il ventre di entrambi e sostituire le minacce con sospiri pesanti.
Scopano tra la cucina e il salotto, senza neanche trovare la forza di trascinarsi fino al soppalco e raggiungere il letto: Noah ha le falangi serrate attorno ai fianchi di Ezra, la bocca inchiodata al suo collo e il cervello ridotto ad una pozza d'acqua tiepida. Ezra gli afferra il viso tra le dita, cercandone lo sguardo con un sorriso sleale, da canaglia, mormorandogli quelle poche parole con un tono arrochito che cola tra le gambe di Noah spezzandogli il respiro.

« Noah... ci prendiamo un cane? »
« Ci prendiamo tutto quello che vuoi. »

--

A riscuoterlo dai ricordi è la puzza di bruciato e il trillo del proprio cellualare. Noah spegne il gas e getta la padella di lato, scrollandosi di dosso la malinconia vischiosa che gli brucia le viscere come una colata di catrame bollente. Risponde al telefono senza neppure guardare il display, e se ne pente immediatamente. La voce dall'altra parte della linea è dolce come miele, e gli si incastra nel cervello assieme alla bestemmia che gli scavalca le labbra.

- Certo che potevi anche lasciarlo a me il sacco di pulci.
- Cristo 'Char, ma che cazzo è, sono diventato un sorvegliato speciale?
- Nah. Ho solo visto Paul che lo portava a spasso stamattina.
- ...
- Com'è che ti sei liberato della belva?
- Com'è che sono passati anni e non ti fai ancora i cazzi tuoi?
- Mi annoio.
- Ficca la testa nel forno e fatti fuori come Sylvia Plath.
- Allora?
- Che.
- Dougall.
- Non mi sono liberato di un cazzo, sta con mia madre per qualche giorno.
- E tu sei in città.
- E io sono in città.
- La nuova fiamma è allergica ai peli di cane?
- Solo a quelli delle cagne come te.
- Carino. E pensi che Ez...

Noah non le dà neanche il tempo di finire quel nome: si strappa il cellulare dall'orecchio e chiude la chiamata con una pressione del pollice, lo stesso che fa scivolare sul tasto di accensione per ammutolire definitivamente l'apparecchio.
Non è mai stato un vigliacco, ma non di inghiottire l'ennesima cucchiaiata di merda, oggi, non ne ha le forze. 

No more fighting, we've given up now
Silence says more than words
Imagination cures loneliness
When you become a prisoner

domenica 2 aprile 2017

Hesitate

I touched your face, I held you close
Til' I could barely breathe
Why give me hope, then give me up


Tra le cosce di Charlotte ci è naufragato con la disperazione di un uomo sconfitto, le palpebre serrate e in petto la desolazione pulsante di un buco nero.
Svegliarsi è come riemergere da un acquitrinio paludoso, la testa in fiamme e il ventre ancora umido delle tracce del proprio orgasmo; Noah si ripulisce la pelle con una passata molle del palmo, cercando dietro le ciglia bionde la voglia di strisciare fuori dalle lenzuola aggrovigliate e buttarsi sotto la doccia.
Charlotte gli dorme accanto, e il peso della sua testa contro la spalla è più nauseante del sapore acre che gli impasta la bocca e allappa la lingua; allunga le dita e la scosta con uno strattone brusco, liberandosene mentre spinge i piedi nudi contro il pavimento e lotta contro il fiotto di bile acida che gli risale la gola e esplode contro il palato.
Ha bevuto troppo, e trovare scampoli di ricordi sensati nel pantano che è la sua testa è uno sforzo che gli strappa un gemito di dolore e i trascina i palmi contro le tempie. Noah si tende in avanti come se dovesse vomitare, ma ha lo stomaco vuoto e il fiotto che gli scavalca le labbra e si mescola ai suoi vestiti sparpagliati sul pavimento non è altro che una colata di succhi gastrici.

« Almeno vomita al cesso, coglione. »

La voce di Charlotte è un miagolio impastato, debole e grondante di una soddisfazione che basta a rivoltargli definitivamente le viscere. Noah si alza in piedi e barcolla verso il bagno incespicando tra i vestiti di lei e un giocattolo di Blue, una papera di gomma che sotto la pianta del suo piede rilascia un lamento assordante, tagliente come la lama che gli si è conficcata nel costato la sera precedente.
Chiude la ceramica del lavandino tra i palmi e il riflesso che gli offre lo specchio è poco più che un'ombra consumata dall'insonnia: ha cerchi neri attorno agli occhi e una scorza di barba biondiccia che non regola da troppi giorni. Se Charlotte ha un pregio, è quello di aprirgli le gambe in qualunque condizione sia. Si bagna il viso con l'acqua ghiacciata mentre cerca di togliersi di dosso la consapevolezza che, in realtà, quella donna è talmente stronza che scoparlo con il cuore in pezzi è una delle cose che preferisce.
Il ricordo delle sue dita attorno ai fianchi stretti di Charlotte gli frusta i neuroni come uno schiaffo infuocato e gli contrae gli addominali ancora umidi: le ha inchiodato la testa tra le scapole, curvo e dimesso come un uomo in preghiera, mormorandole parole che ringraziando il cielo l'alcool ha cancellato quasi del tutto; qualcosa su Austin, o forse Ezra.
Quando emerge da dietro un asciugamano di spugna dall'odore troppo dolce, Charlotte è lì, nuda e assonnata. Lo osserva con una spalla premuta contro il battente della porta, tra le dita una polaroid che deve aver recuperato dal suo portafogli; Noah non ha neanche la forza di incazzarsi, rigido e sfinito come una statua logorata dal tempo e ormai prossima al collasso. La bionda sorride e si rigira la fotografia tra le dita con le labbra strette in un broncio dubbioso e gli occhi chiari che scavano i lineamenti di Austin con un fastidio tenue, troppo leggero per poter esser scambiato per gelosia.

« Biondo, mh? Pensavo fosse un'altra copia carbone come l'ultimo. »
« No, stavolta no. »
« Dovresti smetterla di farti spezzare il cuore dai ragazzini, ritardato. »

C'è una soddisfazione crudele a sporcare la risata con cui Charlotte si toglie di bocca quelle parole, e il gesto con cui lascia cadere la fotografia in terra e la calpesta è saturo di un disprezzo che Noah incassa con solo un cenno d'assenso. Accoglie le braccia della donna attorno al torace con un irrigidimento che ha il sapore debole del disgusto, ma senza trovare in sé la forza per allontanarla.

« Cos'ha fatto questo? Ti ha raccontato palle e ti ha scatenato il ptsd o ti ha mollato e basta per correre dietro a qualcuno di meno complicato? »
« 'Char... »

C'è una supplica accorata a sporcare il tono di Noah. Una supplica che Charlotte divora, fagocitandola assieme a tutto il resto mentre gli spinge la bocca addosso, percorrendone la curva delle clavicole con una passata bollente di lingua, labbra e denti.

« Che c'è? »
« Ritira gli artigli, non c'è più bisogno. »
« Cos'è, ti sei preso una cotta per il ragazzino e ti rode se ne parlo male? »
« Char, Cristo santo. »
« Uh - uh. Non è una cotta, vero sweety? »

Lo spintone con cui Noah l'allontana è troppo violento, e Charlotte non è mai stata capace di incassare decentemente: non lo è neanche ora, mentre incespica all'indietro e si ritrova a sbattere la testa contro l'architrave della porta. Il sangue schizza a imbrattarne i capelli con uno zampillio vischioso e la bestemmia che le scavalca le labbra è aspra, brutale come il livore che le riempie lo sguardo e scioglie sulla lingua una cattiveria dopo l'altra, liquide e aspre come cucchiaiate di cicuta.

« Non c'è nulla di più ridicolo di un uomo innamorato di un adolescente, Noah. E mentre ti svuotavi le palle nel culo del moccioso a Ezra hai mai pensato? Perché che di me non te ne freghi più un cazzo è palese, ma pensavo che almeno lui qualcosa ancora la contasse. »
« Stai zitta. »
« L'unico grande amore, quello per cui ti saresti buttato nel fuoco, che passa in secondo piano davanti alle chiappe di un moccioso di neanche vent'anni. Che ne penserebbe, mh? Pensi che ti farebbe un applauso? »

Noah incassa ogni bastonata con il cuore che gli affonda nel petto, liquefatto in una pozza di senso di colpa e nostalgia straziante che gli rende difficile persino respirare. Gli bruciano gli occhi come se gli ci avessero gettato contro la soda caustica, eppure non c'è una singola lacrima ad impigliarglisi tra le ciglia biondicce. Gli uomini non piangono, e io non ti ho cresciuto come una femminuccia di merda. Sei un finocchio? Vuoi andare a piangere dietro la gonna di tua madre? Devo comprarne una anchea te e chiamarti Susy? La voce di Hans gli riecheggia nel cranio come ogni volta, lasciando dietro di sé l'insoddisfazione bruciante di chi si vede negato anche quell'unico sfogo. Serra i pugni in una frustata di tensione febbrile, e lo schianto delle nocche contro lo smalto sbeccato del lavandino gli esplode in testa al pari dell'ondata di dolore asfissiante che gli risale l'avambraccio.
Lo scricchiolio delle ossa che si spezzano non è nulla di nuovo, così come non lo è il malessere che gli chiude la bocca dello stomaco e pulsa tra le tempie.

« La prossima volta che dici una cosa del genere, la mano me la spezzo sui tuoi denti. »

È una promessa ringhiata quanto vuota quella che scavalca le labbra di Noah, ripetuta troppe volte per risultare poco più che il latrato di una bestia ferita a morte; scivola accanto a Charlotte e raccoglie i propri vestiti dal pavimento senza neanche infilarseli, guadagnando il pianerottolo nudo, infreddolito e con una nuova ondata di conati di vomito a strizzargli l'esofago. 

You were my fire, so I burned, now there's nothing left of me.

---

È il fiato fetido di Dougall a fargli aprire gli occhi. Noah bestemmia e distanzia il pittbull con una manata secca, grugnendo di insoddisfazione nello spintonarlo giù dalle lenzuola.
Ha la testa pesante e la sgradevole sensazione che una colonia d'api abbia fatto il nido nel suo cervello; i sonniferi lo distruggono e lo lasciano disorientato, con la bocca piena di sapore chimico che gli si spande sul palato e cola giù, fino allo stomaco annodato dal risentimento.
Mick e Ben gli stanno sul cazzo. Austin gli sta atrocemente sul cazzo e vorrebbe buttarlo sotto una macchina. Charlotte ha superato i livelli di guardia e ormai vorrebbe vederla conficcata su una picca.
Il pensiero della bionda gli torce le viscere e spezza il respiro: spinge la mano destra contro la fronte e schiaccia il viso contro il cuscino, in un pallido tentativo di soffocamento che interrompe nel realizzare l'assenza di dolore alle falangi. Noah solleva la mano destra e la fissa, spalancando le dita per osservare la carne liscia delle nocche, pulita e priva della benché minima traccia di ecchimosi: è quell'assenza a togliergli dal petto il peso vischioso della colpa, svuotandone il torace con un sospiro sfinito:

« Fick dich, Weimar »



giovedì 30 marzo 2017

Helium

I never wanted to need someone
Yeah, I wanted to play tough
Thought I could do all just on my own

È un ambulatorio pubblico infilato in una delle vie fatiscenti della South quello in cui lavora Noah, strozzato tra una lavanderia a gettoni e un take away cinese. I corridoi sono saturi dell'odore stantio del disinfettante e della calca umana che, giornalmente, si assiepa sulle seggiole di plastica sbeccata in attesa del proprio turno.
Noah spalanca la porta dell'ambulatorio e si affaccia sulla sala d'attesa gremita; un uomo di quarant'anni con tra le dita scritta una prescrizione gli scivola accanto, chiudendo un colpo di tosse nel palmo, e una donna dall'aria patita si alza in piedi trascinando per mano un ragazzino di non più di dieci o dodici anni.

« Cos'ha fatto stavolta? »

Noah ha l'aria stravolta di chi non ha dormito abbastanza e gli occhi iniettati di sangue, ma riesce comunque a ritagliarsi in bocca un mezzo sorriso per quell'ammasso d'ossa e lividi dall'aria rognosa, ossuto e teso come una corda di violino. Fa cenno ad entrambi di accomodarsi, impastandosi in bocca una mezza bestemmia quando il cellulare inizia a squillare nella tasca del camice. Mastica un paio di scuse e butta uno sguardo al display dell'apparecchio, corrugando la fronte in una leccata di scetticismo pulsante.

« Cinque minuti e sono da voi. »

Scivola in corriodio prima di schiacciarsi il telefono contro l'orecchio, incurante del chiacchiericcio che riempie la sala d'attesa. La pazienza gli scivola tra le dita, intrappolata in quel bolo di fiato che si sforza di rendere comprensibile.

« Che c'è? »
« Austin è stato attaccato fuori casa da dei bastardi che lo hanno seguito fino all'appartamento, ieri notte. E' vivo, ma per un pelo. Ho pensato che fosse giusto che tu lo sapessi. »

La voce dell'altro capo del telefono è quella di Ross. Bassa, seria, un mormorio che gli si infila nel costato con la violenza di una spada incandescente. Non è dolore e non è panico quello che gli esplode al centro del petto con la forza di un'esplosione, ma un buco nero che risucchia ogni cosa, divorandone il cranio, i pensieri e il cuore come una leccata di veleno. Annaspa e il respiro che si incastra nei polmoni è affaticato, frenetico come i passi che divora in direzione dello stanzino. Si richiude la porta alle spalle con uno schianto di metallo e legno, tagliando fuori il chiacchiericcio del corridoio, i pazienti, persino il lavoro. 

« Lo porto a casa appena si sveglia dall'anestesia. Ti mando un messaggio con l'indirizzo della casa nuova. Sono sicuro che gli farebbe piacere se passassi. »

Il resto delle frasi che pronuncia sono ringhi da cane rabbioso, affogati in un livore che gli esplode tra le dita non appena mette fine a quella telefonata. Insiste, minaccia, le scapole inchiodate contro la porta alle prorpie spalle e gli occhi persi sullo schedario che ha davanti a sé. Lo scheletro di metallo si accartoccia su se stesso in un cigolio straziante, ripiegandosi quasi fosse costretto sotto una pressa idraulica. Il cuore gli pulsa nel costato con troppa forza, accanendosi contro la trappola di muscoli e ossa quasi volesse squarciarne la carne e balzargli fuori dal petto.

« Ho la pelle dura. Sto attento. I promise. »
« Che cazzo pensi, che sia tanto stronzo da farmi ammazzare? Stai diventando una fighetta, Noah. »

Il ricordo che gli attraversa il cranio è lancinante come lo scricchiolio di ossa spezzate, doloroso al punto da rubargli il fiato. Cede, con i muscoli che diventano acqua mentre scivola contro il pavimento, gli occhi asciutti e le dita ancora strette attorno alla scocca di plastica del telefono cellulare. Noah sospira e flette il collo verso l'alto, riesumando il pacchetto di sigarette dalla tasca con un movimento indolente, vinto, lo stesso con cui si incastra una paglia tra le labbra e prende a sfogliare la rubrica del telefono.

But when the fear comes and I drift towards the ground
I am lucky that you're around

mercoledì 29 marzo 2017

Through the glass

Philadelphia, Febbraio 2025

I'm looking at you through the glass
Don't know how much time has passed
Oh, god it feels like forever


Il soggiorno di quella casa è uno spazio che Noah conosce a memoria: lui e Charlotte hanno litigato per la disposizione di ogni mobile, per ognuna di quelle fotografie che, dopo anni, sono ancora appese alle pareti come ombre slavate di un rapporto fatto a pezzi dal tempo.
Charlotte non ha più di vent'anni nell'immagine che Noah divora con lo sguardo, il sorriso scosceso di una ragazzina e le braccia magre strette attorno al collo di Ezra che ride come un coglione, il braccio teso a catturare un selfie sbilenco; c'è anche lui, ma il suo viso è poco più che uno scorcio di cui si intravede l'espressione tesa. Ha i lineamenti coperti dal medio della mano destra, e il fastidio a stagnargli nel fondo degli occhi chiari.
Quanti anni aveva? ventiquattro, forse ventitrè. Ricorda distintamente che era seccato per qualcosa successo in quel pomeriggio, ma non riesce a ricordare cosa fosse; forse una battuta di Ezra, o uno dei primi battibecchi con 'Char. 

« Ci credi sul serio a questa stronzata? »

La voce di Charlotte lo riscuote, costringendolo a sollevare il viso verso di lei.
Ha un mezzo sorriso da canaglia inchiodato alle labbra e un desiderio stagnante a lordarle lo sguardo. Noah deglutisce un bolo di saliva vischiosa e inietta le dita tra i capelli biondi di Blue; le note di 'Let it go' riempiono l'aria, e sullo schermo piatto della tv Elsa si agita tra vortici di neve urlando la propria indipendenza.

« Mh? »
« La fine del mondo, ritardato. Si parla solo di quello, il varco dimensionale, i doppi e il resto. »

Noah non risponde e si limita a scrollare le spalle. Ha sviluppato, negli anni, l'innata capacità di capire quando Charlotte vuole trascinarlo in un pantano vischioso. È un sesto senso, un dolore sordo che gli si allaccia attorno alla bocca dello stomaco e gli tende i muscoli dell'addome in un allarme diffuso, concreto e allo stesso tempo impalpabile.

« Pensi che nell'altra dimensione le cose tra noi abbiano funzionato? »
« No. Credo che tu sia una troia in tutte le dimensioni. »

Charlotte ride e si allunga verso la figlia, stampando sulla fronte di Blue un bacio leggero e una manciata di parole che Noah non riesce a capire. Le guarda allontanarsi verso la camera da letto della bambina senza trovare la voglia di alzarsi in piedi e andarsene. Aspetta e lo fa con nel petto una sensazione di fallimento soffocante, fedele e stupido come un cane che aspetta il ritorno a casa del proprio padrone.
Non ha bisogno di troppa immaginazione per sapere come andrà a finire, e quando Charlotte torna in salotto e gli si arrampica sulle gambe non c'è un oncia di sorpresa a sporcargli lo sguardo.
La lascia fare senza collaborare, offrendole la curva della propria mandibola per una cascata di baci voraci. L'odore della pelle di Charlotte si mescola a quello dolciastro della Vaniglia, scaricandogli nel bassoventre una fitta di desiderio bruciante, soffocato a stento dalla stoffa dei jeans che ne intrappolano l'erezione.

« La fine del mondo voglio passarla con te. »

Scivolare tra le cosce di Charlotte è dolce come un vertigine, e il cuore di Noah rischia di scioglierglisi nel petto mentre la trascina sul pavimento. L'amplesso che li consuma è affamato, scavato da una patina di malinconia assordante che sporca ogni bacio, ogni morso che si tatuano addosso in un groviglio di ansiti fradici.
L'orgasmo con cui imbratta il ventre di Charlotte lo fa ritrarre di colpo, senza che la scarica di endorfine che gli annacqua il cervello riesca a frenare la desolazione nauseante, avida, che asfalta ogni cosa e ne divora i pensieri.

« Mi scopi e te ne vai? »

Il risentimento confuso che riempie il tono di Charlotte lo fa ridere, strappandogli un grumo di fiato amareggiato che gli fende le labbra e scuote le spalle.

« Tu lo fai da anni, e adesso mi rompi i coglioni? »
« Prima era diverso. Io avevo Lukas, tu l'esercito. »
« No, non è cambiato niente: tu sei rimasta la solita troia, e io lo stronzo che non ne può più di queste puttanate. »
« Cristo santo, Noah! Non possiamo semplicemente --  »
« Se non fossi la madre di Blue, 'Char, non ti userei neanche per svuotarmi le palle. »

Noah si toglie quella menzogna di bocca con un sorriso affilato, urticante come fuoco liquido. Lo strazio che esplode nel petto di Charlotte e ne dilania l'espressione lo inghiotte con l'avidità di chi ormai non ha più nulla da perdere; ne rifugge le lacrime con una torsione vigliacca delle spalle, avviandosi alla porta mentre i singhiozzi della donna si mescolano alle battute finali di Frozen.

How do you feel? That is the question
But I forget you don't expect an easy answer



Philadelphia, Marzo 2025 

How much is real? So much to question
An epidemic of the mannequins
Contaminating everything


La clinica del Mutiny è piccola, ma pulita, ed è uno dei pochi posti che sua sorella trova lontanamente piacevole. Lavinia è seduta sul lettino dedicato alle visite, le gambe troppo magre lasciate a dondolare nel vuoto e il rimasuglio di un lecca lecca stretto tra i denti bianchi, allineati in una mezzalna ordinata.

« Oggi sei proprio brutto. »

Noah solleva gli occhi dalla cartella clinica che sta compilando e la guarda: ha il muso ispido di barba non fatta e gli occhi rovinati dalla mancanza di sonno. Non ha chiuso occhio tutta la notte, e i postumi di una sbornia consumata solo per metà gli infettano il cervello come una febbre.

« Grazie, gentile come un cancro alle palle 'Lov. »
« Secondo me hai litigato di nuovo con Austin. »
« Secondo me sei una rompicoglioni. »

Lavinia ride e alza le spalle verso l'alto, mostrandogli i palmi. Ha polsi scarni in cui i tendini e ossa spiccano con tanta forza da sembrare in procinto di lacerare l'epidermide pallida, e vene azzurre che pulsano sotto uno strato di pelle troppo sottile. Non ricorda l'ultima volta che l'ha vista mangiare qualcosa che fosse diverso da quei chupa chups di merda, né l'ultima volta in cui ha pesato abbastanza per non essere definita pesantemente clinicamente come 'gravemente sottopeso'.

« Sono solo andato a ballare, niente drammi all'orizzonte. Sul serio. »
« Invece sì: mi ha scritto quella pazza della tua ex. »

La bocca di Noah si riempi di fiele. Serra le dita sulla bic nera che ha nel pugno e scava tra i lineamenti della sorella con un'occhiata ansiosa, divorata da un fastidio viscerale in cui, in realtà, è il panico a far da padrone.
Lavinia arriccia la bocca in un sorriso da ragazzina e lo guarda. Oggi è una giornata buona, forse è il litio, o forse è l'anticamera di una fase manicale. Noah scaccia quei pensieri a fatica, cercando di convincersi che forse, forse, oggi sua sorella sta bene e basta.

« 'Char dovrebbe aver capito che non ti deve rompere i coglioni. »
« Dice che le dispiace e che vuole che ti convinca a darle un'altra possibilità. »
« Che le hai risposto? »
« Niente. »
« Niente? »
« Qualcosa sul fatto che ti vedi con qualcuno e sei felice. »
« Ti sembra che abbia la faccia di uno felice? »
« Mi sembra che tu abbia la faccia di uno che si è messo di nuovo in testa di combattere contro i mulini a vento. »

Le parole di Lavinia gli si incastrano nel petto, rubandogli un assenso sfinito e privandolo della voglia di ribattere. Schiaccia la fronte tra le carte che riempiono la scrivania e scrolla le spalle, mostrando alla sorella il medio della mano destra.

« Vaffanculo. »

Il silenzio che si addensa tra loro è fragile, ed è Lavinia a spezzarlo per prima, scivolando giù dal lettino delle visite per aggirare la scrivania e gettarsi sulle spalle di Noah con un sospiro. Noah si lascia abbracciare in silenzio, percependone a malapena la stretta tra la barriera di abiti e stoffa che li divide; se la tira sulle gambe con un sospiro sconfitto, seppellendo il muso tra le ciocche castane che le incorniciano il viso di tratti spigolosi.

« Noah? »
« Mh? »
« Mi manca Ezra. »
« Anche a me, 'Lov. Tutti i giorni, tutto il giorno. »


Before you tell yourself
It's just a different scene
Remember it's just different from what you've seen


lunedì 27 marzo 2017

It's dangerous to fall in love (1)


Aprile 2019, Philadelphia 

Noah richiude il borsone militare con un movimento svelto, divorato dallo stesso nervosismo che gli squadra la mandibola e gonfia lo sguardo. Charlotte gli urla contro, i tratti dolciastri incendiati dal furore e gli occhi iniettati di un biasimo che rifugge, costretto come una bestia in gabbia, preferendo abbassare i propri sulla cerniera di metallo che gli trema tra le dita.
Il senso di colpa gli schiaccia la cassa toracica, avvelenando ogni boccone d'aria che si getta in petto.

« Mi avevi promesso che sarebbe stata l'ultima volta, me l'avevi promesso, avevi giurato! »
« Era l'unico modo per farti stare zitta. »

Il rumore della ceramica che esplode contro la parete gli contrae i dorsali, leccandone i nervi come una frusta incandescente. Il vaso ne ha mancato il profilo per pochi millimetri, schiantandosi alle sue spalle, tra la finestra ed la cornice di una fotografia ormai vecchia di anni; dietro il vetro lui ed Ezra sorridono con in mano due M16, la pelle bruciata dal sole e alle loro spalle le sagome divorate dai bombardamenti di Maskanah.
Noah si trincera dietro le palpebre e obbliga il proprio respiro ad un ritmo lento, misurato, con cui tenta di trattenere tra le dita le frange scivolose della propria pazienza. Charlotte sta piangendo, e ogni singhiozzo gli si incastra tra le costole come una lama, dilaniando muscoli, carne e ossa.

« Non partire. »

Charlotte si asciuga le lacrime in punta di dita e lo osserva, una supplica acquosa incisa nel fondo lucido delle pupille. Charlotte piange solo quando vuole qualcosa e non ha altro modo per ottenerlo, e Noah lo sa. L'ha visto capitare decine di volte, e altrettante l'ha vista stamparsi in faccia un sorriso strafottente non appena avuto quello che desiderava.
Ripetersi che sia solo l'ennesima farsa, però, non rende mendo difficile sollevare le spalle e scuotere la testa.

« È il mio lavoro, 'Char. L'hai sempre saputo. »
« Non lo sapevo invece, non sapevo un cazzo! Pensavo avresti smesso di cercare di farti ammazzare, che avresti smesso di lasciarmi qui come una stronza a chiedermi se creperai come un animale, se tornerai tutto intero o con l'ennesimo trauma del cazzo a farti scoppiare quella testa di cazzo che ti ritrovi. »

Noah le si avvicina trascinando la suola delle scarpe da ginnastica sul pavimento e lo fa senza nerbo, con lo sfinimento di chi conosce ogni curva di quella conversazione; le spalle di Charlotte tremano sotto la stretta delle sue dita, e la sua bocca contro la sua ha il sapore salato delle lacrime. Ne divora le labbra in un bacio lento, tatuando i polpastrelli contro la curva della sua mandibola con tanta forza da farle del male, lasciandole impronte livide sulla pelle pallida.
Il rumore del clackson di Ezra che riempie il vialetto lo costringe a ritrarsi, apparentemente impermeabile a quelle subbliche che gli fanno sprofondare il cuore nel petto. I bagagli li raccimola con la fretta vigliacca di chi non vede l'ora di andarsene, buttandoseli sulle spalle senza più guardare Charlotte.

« Sono incinta, pezzo di merda. »

Charlotte sfila dalla tasca la carta lucida di un'ecografia in 3d e la scaglia in direzione dell'altro, in una parabola debole che la fa fluttuare a mezz'aria prima che atterri silenziosamente sul pavimento.
C'è un ronzio stridente a riempire le orecchie di Noah, un rumore bianco che ha il retrogusto del panico e che gli invade la bocca con un sapore ferroso. Raccoglie l'ecografia tra le dita e deglutisce, alzando gli occhi carichi di livore su Charlotte con un sorriso affilato, crudo, che lascia intravedere scampoli della delusione feroce che chiude la gola rende difficile respirare.

« Non cambia niente, e lo sai. Come sai che dirmelo adesso è una delle tue solite carognate di merda. »

Noah si china un'ultima volta e lo fa solo per recuperare l'ecografia, lasciandosi alle spalle l'appartamento con uno schianto violento della porta d'ingresso.
Sei mesi. Dovrà aspettare almeno sei mesi prima di poter chiedere un permesso per tornare a casa, impacchettare le proprie cose e venire a patti con il rancore di Charlotte.

Marzo 2025, Philadelphia

Sono le due, forse le tre del mattino, e sul Walt Whitman Bridge il traffico si è prosciugato in un rigagnolo incerto composto da qualche sparuta coppia di automobili.
Noah fissa la superficie silenziosa del Delaware senza vederla realmente, più interessato a rincorrere i propri pensieri che i flutti che scivolano docilmente sotto lo scheletro metallico del ponte. I tratti dolciastri di Austin si mescolano a quelli di Charlotte, allacciati insieme dall'inadeguatezza bruciante che gli scalda il petto al pari del fumo di una sigaretta ormai consumata per più di metà.
È stanco e ha le membra divorate dallo spettro crudele dell'insonnia, la stessa che gli logora i nervi e gli impedisce di crollare in terra sfinito. Vorrebbe trovare la forza di raddrizzare le spalle e tornare a camminare, ma non ci riesce, schiacciato da un'infelicità vischiosa che strattona i ricordi verso un paio d'occhi castani che il tempo non è ancora riuscito a cancellare e che si mescolano, inevitabilmente, con un l'azzurro più tiepido di quelli di Austin. 
C'è un dolore sordo a pulsargli al centro del costato, vischioso e nauseante al pari di quel paio di macchine di sangue che ne imbrattano la canotta come infioriscenze purpuree. 

Fire meet gasoline
I'm burning alive
I can barely breathe
When you're here loving me