giovedì 6 aprile 2017

Stubborn Love

She'll lie and steal and cheat 
And beg you from her knees
Make you thinks she means it this time
She'll tear a hole in you, the one you can't repair


« All'inaugurazione della clinica veniamo sia io che Blue. »
« Come ti pare. »
« Che entusiasmo. »
« Non mi devi cacare il cazzo quella sera, 'Char. Ficcatelo nel cervello. »

Charlotte indossa shorts troppo corti; ha le gambe nude e a malapena un fazzoletto di stoffa a coprile le natiche; si china in avanti, languida come una gatta, mettendosi in mostra nel raccogliere dei giocattoli di Blue dal pavimento. Noah fatica a distogliere lo sguardo per riportarlo sullo schermo del proprio cellulare e deglutisce a vuoto: l'insonnia lo divora come una fame costante, la stessa che ne strattona muscoli e nervi in una tensione febbrile e lui sfoga a fatica sul filtro di una sigaretta ancora spenta. Sua figlia è sulle sue ginocchia, un libro per bambini stretto tra le dita paffute e l'orgoglio lucido di chi, finalmente, ha una finestra aperta tra gli incisivi e un dente con cui barattare qualche spicciolo.
Noah le spinge le dita tra i capelli biondi in una carezza distratta, chiedendosi se dovrebbe preoccuparsi della violenza costante con cui Blue affronta i conflitti: il dente lo ha perso nell'ennesima rissa che l'ha vista ammaccata, ma vincitrice, in una disputa per la sovranità su una giostrina azzurra al parco. 

« Il gelato? »
« Dopo. »
« Anche per Austin? »

Basta quella domanda a far crollare il salotto in un silenzio innaturale, colmo di una tensione nervosa che pulsa tra le pareti bianche e riecheggia nelle note improvvisamente stridenti della canzone di Moana che, come Elsa, sbraita sul bisogno di allontanarsi da casa per ritrovare se stessa. Blue raddrizza le spalle minute e volta il viso in direzione di Noah, cercando gli occhi del padre con un'ostinazione che deve avere stampata a fuoco nel codice genetico. Corruga le sopracciglia con una smorfia che è identica alla sua e a volte, fissandola, Noah ha la sensazione di perdersi in un riflesso cristallizzato dal tempo. Charlotte ha raddrizzato la schiena di colpo, svelta come se qualcuno le avesse colpito la spina dorsale con una frustata bollente.

« Non so se gli piace, 'B. »
« Chiedi. »

Blue gli indica il cellulare e annuisce, pienamente soddisfatta del proprio ingegno. È troppo piccola per capire il motivo delle occhiate cariche d'astio che Charlotte spinge su Noah, ma non lo è per rendersi conto che i suoi genitori stanno per litigare. Di nuovo. Scivola giù dalle gambe di Noah e lo fa con uno sbuffo scenografico, mettendosi il libro sotto il braccio prima di sollevare il mento come una diva offesa: infila persino gli occhiali da sole di Noah, troppo larghi per non perdersi sul naso sottile, sgambettando in direzione della propria stanza.

« Mi fate noia. Fai ciao a Austin. »

Charlotte non aspetta che Blue si sia allontanata prima di intrecciare le braccia sotto l'abbozzo di seno e avvicinarsi a Noah a passo di marcia. Ne cerca il ginocchio con la pianta del piede nudo, flettendo la gamba per avvicinarglisi con l'atteggiamento famelico di un avvoltoio che aleggia su una carcassa ancora fresca.

« Austin, mh? »
« Austin. »
« Il ragazzino. »
« Lui. »
« Che nome da frocio. Gli somiglia? »
« No. »
« Stronzate, sei prevedibile come la merda: o gli somiglia, o ha la metà della tua stazza e una bella faccia. »
« Invece di psicanalizzarmi, e farlo male, potresti anche metterti qualcosa addosso. »
« Se proprio ci tieni, sbattimelo tu qualcosa addosso. »

Noah scrolla le spalle e spazza l'aria con una passata decisa del palmo, levandosi di dosso la gamba di Charlotte con uno spintone netto, quasi brutale, che la fa oscillare di lato e la obbliga ad allargare le braccia per mantenere l'equilibrio. La bionda ride e crolla sul divano accanto a lui, senza curarsi di lasciare tra di loro neppure un millimetro di spazio. Tempo tre secondi e la guancia di Charlotte è contro la spalla di Noah, le falangi sottili come giunchi perse a sfiorarne il profilo in punta di dita. Noah si allontana e lo fa alzandosi in piedi di colpo, l'irrequietezza delle bestie ferite ad azzannarne la carne. L'odore dolciastro di Charlotte gli si infila tra le tempie, ma non arriva al costato, bloccato a metà strada tra cuore e cervello.

« Cristo 'Char, ma non ti stanchi mai? »
« Di cosa? Di te? Mai. »
« Di darmi il tormento: sono qui per Blue, non per farti fare 'sti giochetti di merda. »
« Abbiamo scopato fino all'altro ieri. E per un... moccioso, adesso che possiamo, vuoi mandare a puttane tutto? »
« Non c'è più un cazzo da mandare a puttane. Un - cazzo. Quel poco che era rimasto te lo sei bruciata anni fa. »
« Noah, merda, non c'eri mai! E quando c'eri era ancora peggio, eri un fottuto guscio vuoto. Il tempo di riprenderti e vaffanculo, via di nuovo. Che cazzo avrei dovuto fare? »
« Non mi ficcherò di nuovo in questi discorsi di merda. Lo sai, ne ho le palle piene. »
« Perché devi essere sempre così stronzo? »

Noah allarga le braccia, sfinito come un cristo in croce e altrettanto pronto a farsi piantare i chiodi nei palmi delle mani. Il cellulare gli ronza tra le dita ma lo ignora, spaccandosi il petto con una risata tagliente che gli si incastra tra le costole come se tra la carne celasse un nido di spine. 

« E tu perché devi sempre essere così troia? »
« Io sarò anche una troia, ma non sono ancora così disperata da scoparmi gli storpi. »

Lo stupore è violento come un pugno nello stomaco, e allo stesso modo gli mozza il respiro. Noah corruga la fronte in un disorientamento che dura poco più di un battito di ciglia, ma la sorpresa dà tempo a Charlotte di attaccarlo di nuovo; è una donna che fiuta i punti deboli come gli squali il sangue, e non si fa remore a infilare le dita in quella breccia di silenzio stupefatto. 

« Oggi uno in sedia a rotelle, domani uno senza gambe? Ti sei ridotto a questo? »
« Parli senza sapere un cazzo. »
« So che ci sto provando, e lo sto facendo per Blue, per darle quello che né tu, né io abbiamo mai avuto. E tu che fai, Noah? Te ne fotti, vai in giro a ficcarlo a dei cazzo di storpi. Cos'è, è perché ti è riconoscente? O perché uno del genere non lo vorrebbe mai nessun altro ed è l'unico modo, patetico come sei, per sentirti sicuro? »
« Ti ho dato decine di possibilità, e te ne sei fottuta. »
« Te ne sto chiedendo un'altra. L'ultima. »
« La risposta è sempre la stessa: no. »
« Codardo del cazzo. »

La risata che Noah si consuma in bocca è allucinata, più incredula che amareggiata. Per una volta, forse la prima volta in tanti anni, Charlotte non ha neppure voglia di sfiorarla con il dorso della mano. Moana, sullo schermo della tv, ha ricominciato a cantare e lui si muove verso la stanza di Blue: il colpo lo coglie alle spalle, e il dolore ne azzanna la carne con la violenza di una tagliola; si incurva in avanti mentre il posacenere rovina in terra, esplodendo in un inferno di frammenti taglienti. Blue si affaccia dal corridoio, gli occhi azzurri dilatati da un terrore che fa sprofondare il cuore di Noah in un abisso di mortificazione colpevole. La bambina la stringe tra le braccia a fatica, tentando di ignorare le fitte pulsanti che ne divorano la carne e il pianto accorato di Charlotte. Ogni singhiozzo è una coltellata, tanto per lui quanto per Blue, scossa da un tremito che Noah tenta di sedare schiacciandosela contro il torace con più forza.

« Sta con me, stasera. »

È il pianto di Blue a preoccuparlo, in un dejavù che gli striscia sottopelle quando la figlia spinge il viso contro l'incavo del suo collo; la bambina gli serra le braccia sottili attorno alle spalle, senza dire niente, con solo un piagnucolio mesto a scivolarle tra le labbra.

« Andiamo a casa, mh? »
« C'è Dougal? »
« C'è Dougal. »

And I don't blame ya dear
For running like you did, all these years
I would do the same, your best believe
And the highway signs say we're close
But I don't read those things anymore