martedì 25 aprile 2017

Someone Like You (1)

You know how the time flies,
Only yesterday was the time of our lives,
We were born and raised in a summer haze,
Bound by the surprise of our glory days


Philadelphia, Gennaio 2021
Noah ha ventisette anni, un sorriso affilato a tenderne le guance ispide di barba biondiccia e un drink stretto tra le dita della mano destra. Parla con un ragazzino che non avrà più di diciotto anni, il corpo sottile infilato in vestiti che lasciano poco spazio alla fantasia e una zazzera di capelli chiari a incorniciarne il volto dai lineamenti dolciastri.

« Il tuo amico mi guarda male da tutta la sera. »
« Al mio amico stasera gira il cazzo. »
« Colpa mia? »
« Nah. »

Ezra è ad un paio di metri di distanza, i lineamenti tirati in una smorfia carica di un risentimento infantile e gli angoli delle labbra incurvati verso il basso. Ha rifiutato tre, forse quattro ragazzi, invischiato in un malumore collerico che neppure l'alcol è riuscito ad annacquare: il locale gli fa schifo, la musica è troppo alta, gli uomini che l'hanno rimorchiato sono solo cessi e lui si è rotto i coglioni. Schioda dal bancone con un gesto veloce, infettato dalla stizza e macina le distaze per raggiungere Noah e il ragazzino con un passo reso incerto dalla vodka.

« Mi sono rotto i coglioni, andiamo via. »
« Cristo, è il terzo bar che giriamo stasera: scegli un tizio e dacci un taglio. »
« No, voglio andare via. »
« Cristo. Sto bevendo, aspetta dieci minuti, ok? »
« Non aspetto un cazzo, non sei neanche frocio. Non è frocio, bambolina, mi dispiace, gira al largo. »

Noah a queste scenate c'è abituato, e la sua è più insofferenza che sdegno. Scuote la testa, si svuota in bocca i rimasugli del proprio drink e alza le spalle. Al ragazzino dedica solo un'occhiata liquida, macchiata da un desiderio che rifugge con un'alzata di spalle e una curva sghemba delle labbra.
Ezra chiude le dita attorno al polso di Noah e lo strattona via, lontano dal biondo, dalla folla, dal bar e anche dal locale; cammina oscillando fino all'uscita, il corpo tenuto in piedi da una furia che si scioglie in un rigurgito di bile non appena raggiungono l'esterno: si svuota lo stomaco sul marciapiede, rovesciando sull'asfalto più alcol che cibo mentre Noah si allunga a iniettargli le dita tra le ciocche castane, tenendogli la testa in gesto reso meccanico dall'abitudine.

« Mi porti in questi posti del cazzo e poi ti parte il cervello ogni volta. »

Ezra ha il respiro affannato, il cuore che si agita nel petto come una fiera in gabbia che scalpita per liberarsi. Raddrizza le spalle e sfugge da quella presa con un gemito umido; si ripulisce la bocca con il dorso della mano destra e inghiotte un respiro stentato, allontanandosi da Noah con una manciata di passi incerti. 

« Non ti ci porto per vederti sbavare su ... su dei cazzo di mocciosi, Cristo. »
« Che altro dovrei fare? Farti da spalla finché non rimorchi, aspettare che ti svuoti le palle e accompagnarti a casa? »

Noah non ha nulla del livore corrosivo che gonfia lo sguardo di Ezra, solo la perplessità dubbiosa di chi, oltre ad essere stanco, non riesce a realizzare quale sia il problema.

« Provarci con me? Scoparti me? Cos'è, ti piace il cazzo solo quando si parla di ragazzini? »
« Sei ubriaco. »
« Non sono ubriaco, sono stanco. Prima quella tizia insulsa, poi Charlotte, e okay, sei etero. Ma adesso con i ragazzini, Noah? Sul serio? Quando sarà il mio fottutissimo turno? »
« Non ti darò corda mentre sei sbronzo. »
« Non me la dai da sbronzo, non me la dai da sobrio. Vai, vatti a scopare il biondo, trovati l'ennesima persona del cazzo che ti tratta una merda mentre io sto qua raccogliere i pezzi ogni volta. »
« Ezra... »
« Io non ti avrei mai fatto quello che ti ha fatto 'Charlotte. Mai. Non te lo farei mai, sono anni porca troia, anni che aspetto e non va mai bene. Non ti vado mai bene, non ti andrò mai bene. »

Sono in mezzo alla strada e Ezra urla, gli occhi pieni di lacrime e la voce spaccata dalla sofferenza; non sono soli, e alle loro spalle una manciata di ragazzi osserva la scena a metà tra l'interesse e la commiserazione: è Ezra a guadagnarsi l'empatia del pubblico, la comprensione di chi ci è già passato e si è fatto spezzare il cuore più di una volta. A Noah toccano gli sguardi carichi di biasimo, e dei commenti fatti a voce troppo alta che fa di tutto per ignorare.
Noah fatica. Fatica ad elaborare un pensiero di senso compiuto e mettere in fila le sensazioni che gli accelerano il battito cardiaco e si mescolano in un malessere diffuso. Ha la nausea, e forse dovrebbe vomitare anche lui. Inchiodato con gli anfibi all'asfalto e lo sguardo sulla sagoma di Ezra che ha iniziato a singhiozzare, ha il corpo bloccato da una confusione che tenta di allontanare consumando un paio di passi in direzione dell'amico.

« Ez... dai. Sei sbronzo. »
« Non sono sbronzo: sono un cliché, il finocchio che si innamora del migliore amico. »
« ... »

La prima sensazione è l'incertezza. La seconda il sollievo. La terza una felicità cruda, nauseante, che gli inonda lo stomaco e sgorga dalle labbra in una risata che gli scuote il torace e fa incurvare le spalle in avanti. 
Il pugno di Ezra non lo vede neppure arrivare, ed è una bolla di dolore lancinante quella che gli esplode al centro del viso e fa strage di ogni cosa: la cartilagine si spacca e ci sono lampi di luce rossa a invaderne lo sguardo mentre caracolla a terra, la bocca piena del sangue che erutta dalle narici in fiotti bollenti. Il dolore non riesce a fermarne l'ilarità, e tra i gemiti che ne torcono le viscere c'è l'ombra di una risata su cui Ezra si accanisce, furente, alla ricerca di qualcosa che ne ponga fine all' umiliazione. Il primo calcio si abbatte sul ventre di Noah con una precisione chirurgica e gli svuota i polmoni, il secondo gli incrina le costole e allaga il marciapiede in una pozza di sangue e saliva. 
Il terzo gli fa perdere i sensi. 

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Noah del tragitto fino all'ospedale ricorda poco ed anche ora, semi allungato su una sedia di plastica arancione nella sala d'aspetto, fatica a trascinare i pensieri nel giusto ordine: i puzzle non gli sono mai piaciuti e quello che gli si dipana davanti agli occhi è tanto intricato da bruciargli le tempie con fitte di dolore bruciante.
Ezra è accanto a lui, un'assenza di colpa ostinata a tirarne i lineamenti spigolosi e un fastidio corrosivo a stagnargli nel fondo degli occhi arrossati.

« Ce la fai a stare da solo, no? »
« Mi ammazzi di botte e vuoi pure mollarmi qui come uno stronzo? »
« Io la tua faccia di merda non me la voglio più trovare davanti. »
« No? »
« No, sono stanco Noah. Davvero, non ce la faccio più a portare avanti questa storia. »

Noah non dice nulla, e ci pensa il dolore che gli invade ogni fibra nervosa a seppellirgli in gola la risata che minaccia di scavalcargli di nuovo le labbra. Raddrizzare le spalle è uno sforzo di volontà che minaccia di farlo stramazzare al suolo, e tendere il torace verso Ezra gli annienta il respiro e riempie il campo visivo di esplosioni luminose: cercare la bocca di Ezra è uno sforzo che ne imbratta la fronte di sudore gelido, e lo scarto da cavallo bizzoso con cui il militare tenta di sfuggirgli è una secchiata di alcol sulla sua sofferenza. Chiude le dita attorno alla nuca di Ezra con un tremito dolente, strattonandolo nella propria direzione con le ultime stille di forza che gli sono rimaste in corpo: è un bacio che inizia incerto quello che gli impone, carico del sapore ferroso del sangue che si mescola lentamente a quello altrui.
Staccarsi dalle labbra di Ezra è una violenza a cui lo obbliga il dolore che gli germoglia in petto e si allaccia ai suoi muscoli come una pianta rampicanete, ma il lamento debole che lo sente emettere a quella separazione basta, per un po', a cancellare ogni cosa. Sorride, scoprendo i denti in un sorriso purpureo e lo indica con un cenno stanco del mento.

« E adesso smettila di cacarmi il cazzo, e rimani qua. »


Nothing compares
No worries or cares
Regrets and mistakes
They are memories made.
Who would have known how bittersweet this would taste?