sabato 18 marzo 2017

Time after time

Josephine è una donna minuta, dalle ossa sottili e dagli occhi grandi, scuri, che nasconde timidamente dietro le lenti troppo spesse di un paio d'occhiali dalla montatura tartarugata. In piedi accanto al lavandino, le dita coperte da un paio di guanti di plastica di un azzurro intenso, gratta via gli avanzi di sugo dai piatti di ceramica sbeccata e canta, steccando meccanicamente le note della canzone pop trasmessa dalla radio.

« 'Mà, non ti si può sentire. »

Noah di sua madre non ha nulla, né i colori, né la stazza, e accanto a lui Josephine sembra poco più che una ragazzina; la guarda dal tavolino, il mento spigoloso incastrato nel palmo della mano destra e le spalle curve, tese su un testo di medicina che sfoglia distrattamente. Josephine ne ignora i rimbrotti e alza la voce in un gorgheggio finale che risuona sulle mattonelle lucide della cucina in un eco stridente, capace di far brontolare Dougall, il pittbull grigio, sdraiato tra le gambe del tavolo ed i piedi di Noah.

« Hai rotto il cazzo persino a lui, renditi conto. »
« È il tuo cane, ha il tuo carattere. Siete entrambi insopportabili. »

Josephine si gira e dedica a Noah un sorriso dolciastro, mesto, che non arriva a intiepidirne lo sguardo divorato da una patina di malinconia bruciante; si sistema gli occhiali sul naso e si chiude nelle spalle ossute, identiche a quelle di Lavinia. Noah fatica a sostenerne lo sguardo, e il senso di inadeguatezza che gli si addensa sulle spalle lo obbliga a distogliere gli occhi, puntandoli sul posto vuoto di fronte a sé: non c'è nessuno ad occupare la sedia di un verde stinto, in un'assenza feroce, nauseante, che riempie la stanza e sfibra il silenzio rotto solo dal ronzio indistinto di una nuova canzone pop.

« Dick dice che da lunedì potrebbe tornare a casa, se sei disposta a starle dietro. »

Sua madre non risponde. Torna ad aggiustarsi gli occhiali sul naso e sospira, in una difficoltà evidente che le si annida in corpo e le fa strattonare i guanti di plastica un dito alla volta, rilasciando nell'aria immobile degli schiocchi secchi, violenti come quelli di una frusta.

« Pensi sia una buona idea? »
« Penso abbia bisogno di un ambiente diverso, e che la clinica non sia la soluzione. Non a lungo termine. »

Josephine annuisce e abbassa lo sguardo, smarrita come una bambina e incapace di trattenere in bocca quella domanda dolente che, anno dopo anno, continua a gettare in pasto a Noah alla ricerca di un'assoluzione che non riesce a concedersi.

« Credi sia colpa mia? »
« No, 'Mà. Non dipende da te, non dipende da Paul. È genetica, ha avuto sfiga. Tutto qui. Non è colpa di nessuno. »

Josephine annuisce più volte, tentando di convincersene senza farlo davvero. Ci prova da anni, e la sua è una battaglia persa in partenza. Noah sospira, abbandona il tentativo di gettare a memoria la posologia dell'ennesimo farmaco e si alza in piedi, raggiungendo sua madre per chiuderla in un abbraccio violento, ruvido, offrendole silenziosamente il proprio torace in cui nascondersi. Josephine gli trema tra le braccia, in quello che Noah ha imparato a riconoscere da tempo come il preludio di un pianto violento.
Sua madre si aggrappa al suo costato e singhiozza, il corpo sottile scosso da singhiozzi che hanno su di lui la stessa violenza di una pugnalata in pieno petto. Noah chiude gli occhi e la lascia sfogare, seppellendo ogni pensiero mentre, dalla radio, la voce di Cyndi Lauper scivola a cullare il pianto di sua madre.

If you're lost you can look and you will find me
Time after time